La scrittura del disastro. Maurice Blanchot. SE, 1990.

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Descrizione

SE (Saggi e documenti del Novecento 16); 1990; 8877101679; Copertina flessibile con risvolti ; 22 x 13 cm; pp. 172; A cura di F. Sossi ; leggeri segni d’uso alla copertina, interno ottimo; Buono (come da foto). ;Quando tutto è stato detto, resta da dire il disastro. Nella solitudine degli spazi siderali, la rottura con ogni forma di totalità. Per questo anche lo stile deve ricordare, o riprodurre, la continua rottura: con parole che, distanziate, attraversate nella loro unità dalla fenditura di uno spazio bianco, sono «frammentarie nel loro potere che è senso». Nello stile aforistico della Scrittura del disastro, uno degli ultimi lavori teorici di Maurice Blanchot, il problema non può più essere quello di dire ciò che è. Di non mancare la cosa nominata, perché la ricerca dell’immediato ha a che fare con l’eccesso, con un troppo di presenza. Quello che resta da dire, invece, attraverso l’inconsuetudine di una «teoria finzionale » che, nella finzione, « entra in pericolo di morte», ha piuttosto a che fare con il meno, con la debolezza. Con la prossimità a una non identificazione per mancanza di forza, a una morte che è lento affievolirsi, come il lento suicidio della scrittura autobiografica. Le pagine iniziali sulla nozione lévinasiana di alterità, si ricongiungono in tale modo con la critica al concetto heideggeriano di essere-per- la-morte, e, ancora, con la tensione all’impersonalità e all’esteriorità del soggetto nel cuore stesso della sua unità, che Blanchot scorge nella figura di Narciso. Il disastro, infatti, ci costringe a pensare all’evento di qualcosa che non è mai cominciato, che non è mai giunto al presente e a cui allude un oblio che non dimentica qualcosa perché ha sempre preceduto ogni memoria. Un pensiero senza scopo, «pensare come si muore », perché anche morire è senza scopo; questo ci impone il disastro «in termini di gratuità, non di responsabilità». ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.