Caccie e costumi degli uccelli silvani. Bacchi della Lega Alberto. Rizzoli, 1976.

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Descrizione

Rizzoli (L’ornitorinco); 1976; Noisbn ; Rilegato con sovracoperta; 22 x 14,5 cm; pp. 303; Prima edizione. Volume riccamente illustrato a col. e b./n. ; leggeri segni d’uso alla copertina, interno ottimo; Buono (come da foto). ; Chi volesse raccogliere un’antologia degli scrittori di cose naturali in Italia, non avrebbe grosse difficoltà per i secoli XVI, XVII e XVIII ma si troverebbe sempre più in imbarazzo quanto più si avvicini ai tempi nostri: mancano del tutto, o quasi, da noi figure di viaggiatori-naturalisti o naturalisti-scrittori come Fabre, Brehm, I W. H. Hudson, gli Huxley, i Durrell. Oppure, se qualcuna ce n’è stata, la si è dimenticata del tutto, Come questo Bacchi della Lega che abbiamo voluto dissoppellire dall’oblio. Qualcuno si stupirà o si scandalizzerà che si venga a riproporre al pubblico di oggi un libro dove si parla di stragi di uccelli canori, di uccellagioni e di roccoli, quando ci stiamo adoperando perché simili forme di cacce che a ragione ci vengono rimproverate dagli altri paesi europei come barbare vengano per sempre messe al bando dalla legge; e dove, il che è peggio ancora, si giustificano, con argomenti privi di fondamento, pratiche crudeli come l’accecamento del fringuelli da richiamo. Ma innanzitutto si tratta di un libro scritto cent’anni fa, e tanto varrebbe, se si prestasse orecchio a simili argomenti, non pubblicare più nessun libro del passato sul come si trattavano un tempo gli schiavi, I galeotti, i coscritti o ragazzi nei collegi. E in secondo luogo il libro del Bacchi s’intitola Caccie e costumi degli uccelli silvani e ció che a noi Interessa non sono tante le cacce, oggi per fortuna in gran parte non più praticabili, ma i costumi. Che dopo questo autore si può dire senza timore di smentita a casa nostra non sono più stati descritti con tanta fedeltà, e soprattutto: nitidezza, colore e piacere. All’ornitologo piaceranno certamente in questo libro la precisione del cronista (che non è notoriamente una caratteristica del cacciatori), la ricchezza d’informazione, diretta ed indiretta, la familiarità dell’autore con opere rare ed oggi quasi introvabili, continuamente citato e commentate o chiamate in causa, tanto che a qualcuno potrà capitare, dopo aver letto questo libro, quel che capita con le ciliege: che una tira l’altra: che dopo aver letto il Bacchi, gli venga voglia di leggere l’Alberti, e dopo l’Alberti il Tanara e così via. Di questa familiarità e studio è una preziosa testimonianza la ricca bibliografia ragionata dell’autore, che si trova in appendice al volume. Tuttavia non è agli ornitologi che si è voluto offrire in lettura questo libro. Ma al più vasto pubblico degli appassionati della natura: che qui troveranno, di riga in riga sempre più definito, il ritratto di un gentiluomo di campagna il cui stampo s’è perduto per sempre: umanista e, come s’usava dire un tempo, epicureo bolognese; e soprattutto della campagna tanto innamorato, tanto vivo della sua vita, che senza campagna non sarebbe neppure immaginabile come persona; e attorno a questo gentiluomo con lo schioppo e le sue panie, un corteggio di amici gentiluomini e piovani, cacciatori e mangiatori; e un tale campionario di albe e di tramonti, inverni rigidi o dolci, estati afose, torrioni abbandonati e selve profonde, acque scorrenti, campi innevati e papaveri tra i campi, da bastare da soli a riempire gli Uffizi. C’è il Bacchi, con tutti i suoi uccelli, inseguiti fino all’imitazione del canto, e ci sono i poeti, dagli eleganti poeti georgici settecenteschi (il Petrarca è sempre presente come un basso continuo) fino al Parini e al Foscolo, contestati e non a torto, al Leopardi, allo sbeffeggiato Rapisardi. C’è tutta una cultura ancora sommamente civile, alta, genuina, e una scrittura di rara concretezza e limpidezza (il Pascoli, che del buono scrivere se ne intendeva come pochi, amava molto questo libro) e solo a tratti cominciano a far breccia i bavosi sproloqui del Mantegazza. Si confronti questo Bacchi, la sua civiltà e il suo stile, con ciò che nel 1894 pubblicava sui fiori quel pasticciatissimo pasticcione del Gori, col suo corteggio di avvocati e notai e signore rimatori e rimatrici: tutti ugualmente pessimi, insipidi, grottescamente dolciastri o vuoti, per rendersi conto quanto fragile sia l’equilibrio di una cultura, che può deteriorarsi nel battito d’un ciglio. ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.