Descrizione
Rizzoli (L’ornitorinco); 1981; Noisbn ; Rilegato con sovracoperta illustrata; 22 x 14,5 cm; pp. 342; Pref. S. Frugis. Prima edizione. Illustrazioni a col. e b./n. ; leggeri segni d’uso alla sovracopertina, interno buono; Buono (come da foto). ; Esiste un paesaggio, che è quello che si intende comunemente per paesaggio, visibile, evidente, dentro cui viviamo, che ci è quotidiano e familiare e che più o meno lentamente si va trasformando durante il corso della nostra esistenza. É fatto di case, strade, campi, boschi, giardini, oggetti fermi, inanimati. La sua trasformazione avviene giorno per giorno sotto i nostri occhi, graduale e progressiva. Ma dentro questo paesaggio ne esiste un altro dai contorni molto meno precisi, mobilissimo, discontinuo, il paesaggio animale, tutto fatto di incontri. E un paesaggio la cui trasformazione è molto difficile da avvertire perché a dargli consistenza e continuità è necessaria la frequenza degli incontri, e il contributo della memoria, che lega le cose e le dispone in disegni, oggi fin troppo ingombra dei detriti di una esistenza sempre più affannosa e coatta. Ed è questo paesaggio che, quasi senza che ce ne accorgiamo, diventa sempre più nebbioso e rado: fosse l’altro, di alberi o di manufatti, è come se dove sorgeva un bosco restassero soltanto poche piante sparse e sparute, dove un paese o un borgo, qualche casa isolata. Non si tratta in questo caso tanto di un allarme per le specie in via di estinzione (che hanno la loro parte nel quadro) ma più ancora di tutte quante le altre che, pur non essendo estinte, o immediatamente minacciate, si vanno via via, con un ritmo paurosamente crescente, rarefacendo. A chi succede ormai, se non vive in una campagna isolata, o nei pressi di un bosco (ed anche in questo caso: quante volte?) non dico di incontrare una lontra, una martora, una puzzola, ma animali assai più comuni come una volpe, un riccio o un barbagianni? E peggio ancora: quante sono oggi le persone che hanno udito la notte cantare l’usignolo? Cosi accade che lentamente, per centinaia e centinaia di noi, animali che fino ad ancora qualche decennio fa erano parte della realtà dei nostri sensi, che si potevano udire, vedere, toccare, varchino la soglia della memoria mitica, vengano assunti nel cielo delle favole, e finiscano per avere – il lupo, l’aquila, il falco, la civetta – la medesima non consistenza di animali araldici come il liocorno e l’ippogrifo. Forse più di tutti, perché più colpiti e meno difesi di tante altre specie e di costumi furtivi, tutti i rapaci. Per vederli, seguirli nelle loro abitudini, rarefatti come sono, non basta più affidarsi come un tempo alla speranza e al caso. Vanno cercati nei loro, pur ridottissimi, territori, che bisogna conoscere; e vanno sorpresi in tutti i momenti cruciali della loro vita. Si rende perciò necessario apprendere un codice; non certo il loro linguaggio, che non potremo mai intendere se non nelle favole, ma il linguaggio della loro presenza, delle loro forme, colori, segnali, costumi, dei vari caratteri del volo, l’unico che può arrivare fino a noi, l’unico che si può tradurre, anche per il profano («ll falco pellegrino» insegni) in emozione, in cultura viva. Questo codice, che in Italia mancava totalmente, ci è fornito dallo splendido lavoro del professor Mario Chiavetta, documentatissimo, ricco di materiale illustrativo, fotografie, disegni e ingegnosi diagrammi, frutto di anni e anni di ricerche e lavoro sul campo; opera che viene a colmare un grosso vuoto nella letteratura naturalistica europea. Il valore scientifico di una tale impresa è evidente; ma anche per chi scienziato non è, ma un semplice contemplatore della natura, questo libro può costituire la chiave di un mondo da cui diversamente si rischia di restare esclusi.; Spedizione veloce con BRT. L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.